Il ritmo giusto della vita

Questo è il primo degli articoli extra-redazionali pervenuti per il terzo numero di FSFSG e selezionati per il blog! Nelle prossime settimane, altri quattro articoli di altissimo livello vedranno la luce in questo blog, e il primo è di Nino Matafù! 
Buona lettura! 

A Passeggio con Seneca
di Nino Matafù

Attivati. Diversifica. Ottimizza. Sono i tre must che nel tempo in mio possesso mi fanno correre. O forse a causa loro mi trovo a rincorrere il tempo?

copertinaHo il terrore, letteralmente, di perdere il mio tempo. Perché sprecarlo equivale a vanificare ogni possibilità di distanziare, seppur illusoriamente, una morte inesorabile. La costruzione di un senso, di un percorso verso una meta, è il solo mezzo che ci permette di dimenticare come il tempo scorra in un solo verso, e che ogni secondo che passa non potrà più essere recuperato.

Talvolta, mi sembra quasi di essere in In Time, film che presenta una realtà in cui le persone sono geneticamente programmate per invecchiare soltanto fino a 25 anni, per poi far scattare sul loro braccio un timer che segnerà un conto alla rovescia inesorabile – della durata iniziale di un anno, estendibile grazie all’utilizzo del tempo come valuta di scambio – al termine del quale l’individuo morirà all’istante.

Il protagonista, Will Salas, corre con tutte le sue forze per guadagnare secondi, minuti ed ore, semplicemente per riprendere a correre subito dopo averli ottenuti. Lui stesso, in uno scambio con un soggetto così ricco da essere praticamente immortale, alla domanda “Se tu avessi tanto tempo quanto ne ho io su quell’orologio, che cosa faresti?”, risponde: “Smetterei di guardarlo. Posso dirti… se avessi tutto quel tempo di certo non lo sprecherei”.

È dunque la consapevolezza di essere mortali, di dover morire un giorno, di poter morire oggi stesso, che ci spinge a valorizzare il più possibile i nostri attimi sulla Terra.

Ma qual è il criterio per decidere se, a fine giornata, è stato meglio aver fatto mille cose oppure nessuna?

Seneca in varie sue opere tratta questa tematica, ad esempio consigliando a Lucilio di custodire il tempo concessogli dalla vita e, soprattutto, di non perderlo per negligenza. Valorizzare il proprio tempo non è dunque vivere una vita lunga, ma vivere intenzionalmente, essere veramente padroni di sé: “Non posso dire che nulla vada perduto, ma sono in grado di dire quanto tempo perdo, perché e come lo perdo, posso cioè spiegare i motivi della mia povertà”.

Nel De tranquillitate animi, il filosofo di Cordova riconosce l’importanza della continua ricerca di un compromesso tra solitudine e compagnia, tra vita meditativa e vita attiva, tentando di accoppiare e alternare le due cose, mantenendo così vivo il desiderio dell’una e dell’altra.

Allora io stesso corro, tra l’università ed i libri, tra YouTube e Netflix, tra lo sport e una serata a bere in compagnia. Ma in questa affannosa ricerca dell’ottimizzazione mi ritrovo ad astrarmi così tanto da calcolare persino le relazioni umane; per essere più precisi, cerco di capire verso che meta porteranno i miei sforzi, per cosa sto barattando il mio tempo.

Per quanto la nostra realtà non sia quella di In Time, il tempo è comunque una moneta di scambio. Le attività a cui ci dedichiamo e le relazioni che intessiamo sono frutto di un calcolo – conscio o inconscio che sia – basato su un’ottica presente e futura, una visione di medio e di lungo raggio.

Dunque mi proibisco di perdere tempo scrollando la home di Facebook, guardando le Instagram stories, fruendo dei contenuti audio a velocità aumentata. Seleziono i contenuti con cura secondo personalissimi criteri qualitativi, ma osservati meticolosamente; fuggo dai “video-ciliegia” e dall’assuefazione che ne deriva dato lo sforzo mentale praticamente pari a zero; divento quasi odioso quando chiedo alle persone di sintetizzare, magari rifiutando di ascoltare un messaggio vocale da 12 minuti.

Il mio timore è che questa visione angosciante del tempo mi faccia perdere la capacità di rallentare e godere del presente, del mio esistere qui ed ora.

Nei miei 694267200 (circa) secondi di vita, trascorsi cercando il più possibile di non oziare, mi sono chiesto più volte quale sia (e se effettivamente ci fosse) il valore della lentezza. Ho trovato una risposta tra le righe di Sul buon uso della lentezza di Pierre Sansot. L’antropologo francese descrive il fastidio che prova verso coloro che hanno fretta di diventare adulti, verso le persone tanto rapide da – almeno in linea di principio – accumulare tempo libero allo scopo di vivere finalmente per se stessi. Sansot considera la lentezza una scelta di vita essenziale per evitare la povertà di una costante ricerca di qualche istante in cui sentirsi liberi: seppur bisogna accogliere un mondo che va sempre più di fretta, la volontà di non lasciarsi mettere fretta – per non essere tormentato da un tempo a noi estraneo – ci permette di non dimenticarci di noi stessi strada facendo.

Se potessi esprimere un desiderio, chiederei forse di conoscere il futuro? Non credo. Ormai conosco la fregatura che sta dietro il dono di chi, come gli Eptapodi in Arrival (tratto da Storie della tua vita di Ted Chiang) o i Tralfamadoriani in Mattatoio n° 5 di Kurt Vonnegut, è in grado di prevedere il futuro: l’essere presente non è più un fatto collocabile in un solo punto della linea temporale, connotato dunque dalla nostra idea di volontà, quanto piuttosto un evento a cui ci si conforma necessariamente, in un perenne rito di compimento della storia del tempo.

No, certamente. Se potessi esprimere un desiderio chiederei ciò che brama il protagonista di Will: “Voglio solo svegliarmi senza che il tempo mi sfugga dalle mani…”.

Eppure so benissimo che, se immerso nella canzone La caduta di Atlante di Caparezza, al massimo potrei essere Atlante. Desidero Dike (il Tempo) così tanto da rincorrerla per catturarla, ma il finale è sempre e solo uno: “La dea che scappa sul selciato è l’ultimo ricordo, io che cado, dal mondo schiacciato mentre la rincorro”.

Ho scritto della mia vita, delle mie scelte, perché non credo ci sia una soluzione universale. Ho scritto per cercare di dar ordine, un’altra volta ancora, ad un percorso che forse ordine non ha. Nella speranza di non protrarre il sonno durante il giorno, nella speranza di non essere uno schiavo tormentato del Re Tempo, mi riconosco in un celebre passo delle Naturales Quaestiones di Seneca: “In puncto fugientis temporis pendeo, et magni est modicum fuisse” (“Sto sospeso all’attimo del tempo che fugge e vale già molto che abbia avuto una breve durata”).

***

Nino Matafù ha 22 anni, nato a Messina, studente di giurisprudenza presso l’Università di Trento. Fondatore di Zetein (blog e podcast), nel mondo del diritto cerca ancora la propria strada.

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