Hannah Baker incontra Plessner

Ecco un altro degli articoli extra-redazionali che non sono stati selezionati per il numero di novembre 2019, pur essendo imperdibili. Il FiloSoFarSoGood di questo bimestre è stato dedicato al tema del Suicidio (il pdf della rivista è scaricabile da QUI

Fenomenologia dell’essere lacerato
di Giuseppe Polizzotto

copertinafsfsg2x2Il primo racconto che scrissi iniziava con un uomo che afflitto dalla rottura con una donna cadeva in uno stato catatonico, si alienava dalla vita e, noncurante delle conseguenze, cercava di uccidersi con alcool e droga. Quell’immagine, per quanto possa sembrare uno sbiadito cliché letterario funzionava, in quanto rappresentava una risposta comprensibile al dolore, benché poco auspicabile e condivisibile da chiunque. Di fatto, se si empatizza con l’uomo della storia, si comprende che il suicidio narrato è una risposta estrema e senza rimedio alla sofferenza, nella quale il soggetto afferma la propria libertà di fronte alla vita stessa, intesa come essere-al-mondo o come il trovarsi gettato in una situazione. Un gesto che trae la propria forza dal suo essere irreversibile, dalla cesura completa con tutto il resto, probabilmente è l’atto supremo di libertà al quale si riferiva David Hume.

Allo stesso tempo, il suicidio può rappresentare un estremo e indicibile senso di inadeguatezza, verso la vita o verso noi stessi; può essere il sentiero scuro che si imbocca nella continua ricerca di senso da parte degli esseri umani. Un senso ineffabile, che si concretizza in un gesto senza rimedio, che si manifesta in un’azione paradossale. È quello che cerca di spiegare la serie Netflix 13 Reasons Why, nella quale un’adolescente di un liceo americano, Hannah Baker, decide di togliersi la vita nella sua vasca da bagno, in seguito ad alcuni comportamenti e ad alcune situazioni che la umiliano pubblicamente e che la mettono estremamente a disagio con i suoi compagni, con i suoi amici e persino con la sua famiglia. Prima di mettere fine alla propria vita, Hannah lascia registrazioni su cassetta, spiegando le tredici ragioni (da qui il riferimento al titolo) che l’hanno spinta a suicidarsi. Si vede chiaramente il senso di inadeguatezza che prende il sopravvento, manifestandosi non soltanto in una vita tragica ma anche nel tentativo di trovare pace alla sofferenza con il suicidio: Hannah realizza così lucidamente che la sua vita non vale la pena di essere vissuta, che la cura alla vita va ricercata nella morte.

A tal proposito, Helmuth Plessner, tra i fondatori dell’antropologia filosofica contemporanea, nel 1941 pubblica Il riso e il pianto, un’opera esemplare in cui il filosofo tedesco analizza la capacità degli esseri umani di ridere e di piangere, descrivendole come risposte incontrollabili al rapporto che si ha con sé stessi, con gli altri e con l’ambiente che ci circonda. Il ridere o il piangere sono il risultato di un’incapacità di rispondere a qualcosa, manifesti di una spaccatura interiore che non si riesce a tematizzare. Il soggetto, che si pone di fronte a sé stesso e alla propria situazione, si ritrova al centro di tutto, percependosi in una posizione centrale (o eccentrica) e chiamando coscienza questo “guardarsi allo specchio”. L’eccentricità del soggetto genera una frattura che non può essere sanata, che persiste anche dopo aver compiuto un’autoriflessione, scatenando istinti suicidi, parasuicidi o gesti autolesionistici. Questi non sono altro che il risultato di una frattura all’interno della vita umana: frattura che fa e caratterizza l’uomo, ponendolo come il centro irriducibile della relazione tra l’esterno e l’interno. Proprio in questa posizione, egli deve condurre la propria esistenza, cercando una paradossale soluzione. Dalla riflessione di Plessner affiora l’immagine della condizione umana pervasa da un’inquietudine e da un’incertezza che non si possono arrestare. 

Plessner cerca di sviluppare una fenomenologia del vivente che indaghi la posizione degli esseri umani all’interno della vita, cercando le fondamenta dell’agire. Considera lo stare al mondo come un invito a fare propria la vita, indirizzandola nella direzione voluta. Egli non sempre ci riesce, poiché l’esistenza è costellata di imprevisti e dolore, e sempre più spesso dovrà selezionare le risposte comportamentali adeguate: sono l’espressione di una forte componente concettuale perché è il mondo dei comportamenti a essere sotto esame.

Il riso e il pianto sono proprio dei comportamenti, espressioni emotive tipiche soltanto dell’essere umano; non solo, per coglierne la natura, occorre indagare sul rapporto che l’uomo ha con se stesso e, soprattutto, col suo corpo e il suo essere al mondo. Sempre secondo Plessner, quando si scoppia in lacrime per il pianto o in una fragorosa risata, avviene una vera e propria frattura nell’equilibrio del soggetto: questi perde il controllo di sé e non riesce più ad esprimersi come fa abitualmente, lasciandosi travolgere e sopraffare dalle emozioni. L’unità della persona entra in crisi, reagendo con un comportamento disgregato e di rottura, portando l’individuo verso la perdita di controllo del suo esistere. L’esistenza gli sfugge di mano e lo obbliga a reazioni insospettate e inopportune, così la rottura interna del soggetto nel riso e nel pianto può essere accostata a quella che avviene quando si matura l’idea del suicidio. In entrambe le situazioni, il soggetto oppresso dalle situazioni, fa emergere il riso o il pianto con reazioni asincrone, le quali diventano sinonimo di lacerazione.

13 Reasons Why è solo un modo per affrontare questo tema, caro a molte opere e personaggi della letteratura, del cinema e della TV. Che si tratti del classico Mito di Sisifo di Albert Camus o delle storie pulp di Chuck Palahniuk (Invisible Monsters, Soffocare, lo stesso Fight Club), del personaggio di Jacob Winograd in Undone o di quello di Henry Hamilton in In Time, oppure Arthur Fleck nel Joker di Todd Philips coi suoi recenti intenti suicidi (e omicidi), ognuna di queste opere offre una rappresentazione, seppur particolare, dell’autonegazione di sé stessi, una strada che conduce quasi inevitabilmente in un oscuro abisso dove la cura al male di vivere è il suicidio.

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Giuseppe Polizzotto nasce a Cefalù nel 1994. Laureato in Filosofia presso l’Università degli Studi di Palermo, laureando in Scienze Filosofiche presso l’Università degli studi di Bologna. Appassionato di cinema, serie tv e tech. 

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