Undertale e la mostruosità inattesa

Sabato prossimo 30 novembre uscirà il nuovo numero di FiloSoFarSoGood dedicato al tema del “Suicidio”. 17 articoli che sviscerano questo delicato argomento attraverso la filosofia e usando la cultura pop come grimaldello concettuale, per farci ragionare in modo diverso, più ampio e interessante! Se non vuoi perderti il numero segui il blog oppure iscriviti alla newsletter e riceverai direttamente nella casella di posta il link per acquistare il numero a soli 3 euro! 
Di seguito vi proponiamo l’articolo che Riccardo Dal Ferro, il direttore di FSFSG, ha scritto sul tema del Mostro nel precedente numero! Buona lettura. 
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Il mostro è ciò che fai, non ciò che sei
di Rick DuFer

Hai mai guardato un mostro negli occhi?
L’abisso che ti guarda di rimando è ciò da cui fuggi sempre poiché ti ricorda che il mostro potrebbe essere proprio lì, dove stai tu. È facile accorgersi del mostro là fuori, ben più difficile osservare il mostro dentro di te. 

7 RICK“Undertale”, videogioco indie sviluppato da Toby Fox nel 2015, è un labirinto nel quale siamo costretti ad ammettere che la mostruosità si nasconde nei luoghi più impensabili, e che l’umanità (o la “normalità”) è un concetto più sfuggente di quanto potessimo aspettarci. “Undertale” ci pone nei panni di un bambino caduto nel sottosuolo dove, in tempi antichi, gli uomini rinchiusero i mostri. Tutta la trama e il gameplay sono volti a sovvertire il ruolo che intuitivamente attribuiamo al mostro e all’umano, sorprendendo i nostri bias e costringendoci a rivederli profondamente.
In “Undertale”, i mostri che incontriamo ci possono spaventare e atterrire, di certo appaiono pericolosi e disgustosi, ma anche ridicoli e assurdi. Sans e Papyrus, due eccentrici scheletri, possono diventare amici o nemici sulla base del comportamento del giocatore, così come di fronte ad ogni mostro che ci attacchi possiamo scegliere se combatterlo oppure risparmiarne la vita (con meccaniche di gioco spesso esilaranti). Insomma, ciò che “Undertale” ci suggerisce è che il mostro non si nasconde in ciò che sei, ma in ciò che fai. 

Siamo costretti ad essere liberi: liberi di uccidere o di risparmiare, di esercitare violenza oppure ridere di noi stessi. L’impossibilità di sfuggire alla libertà, concetto così controintuitivo di cui parla Sartre, caratterizza “Undertale” in modo profondo. Non possiamo che scegliere come comportarci, come rispondere alla paura o all’assurdo, quando siamo messi di fronte a ciò che ci appare come alieno. Noi creature viventi cerchiamo sempre un appiglio razionale per capire che cosa fare, e così ci costruiamo il concetto di “umanità” per giustificare le nostre azioni e quello di “mostruosità” per disegnare un confine oltre il quale ci sentiamo perduti. Ma queste sono finzioni, utili a rendere conto dei nostri gesti, per quanto orribili essi siano.
Di fronte al mostro è molto facile convincersi che esso corrisponda a ciò-che-si-è. In questo modo non solo la mia semplice appartenenza biologica all’umanità mi permette di non sentirmi un mostro, qualunque cosa faccia, ma soprattutto mi rende facile applicare i miei bias interpretativi a quello che mi si para di fronte: cos’è che rende Papyrus un mostro? Forse la sua apparenza di scheletro? Il suo strambo modo di vestire e di esprimersi? E Undyne, capo delle guardie a caccia di umani, perché è un mostro? È per la sua violenza?
La risposta che balugina tra i pixel di questa avventura è più complicata: è mostruoso tutto ciò che contraddice il mio modo di vedere il mondo. Tutto ciò che differisce da me, nelle azioni, nelle parole o nei comportamenti, tutto quello che non aderisce alla mia prospettiva. Tutto ciò che non mi somiglia, quello è il mostro. Tutto ciò a cui non sento di appartenere. Tutto ciò che sta al di fuori del confine di “normalità” che ho disegnato intorno a me, a mia immagine e somiglianza. 

L’unico problema è che sto mentendo a me stesso. Quella che chiamo “normalità” è solo una storia che ho voluto raccontarmi, al fine di giustificare le mie azioni, anche le più riprovevoli, così come il “mostro” è un’altra storia che racconto per giustificare le azioni che ho compiuto contro ciò che differisce da me. “Mostro” è l’etichetta che affibbiamo a tutto quello che odiamo, anche quando il mostro sta dalla parte opposta.
Nella storia della filosofia, nessuno meglio di Kierkegaard ha reso giustizia a questo abisso nel quale guardare è così complicato. In aperta opposizione a tutti i tentativi di razionalizzare il mondo, ordinandolo attraverso categorie di convenienza, Kierkegaard ha affermato un principio che in “Undertale” erompe incontenibile: di fronte al mondo siamo completamente soli, senza guida né appigli, senza barriere che ci proteggano. Siamo in un rapporto assoluto con l’Assoluto, tanto per usare una formula a lui tanto cara.
Se il mondo rappresenta la diversità, il mio tentativo di ordinarlo secondo categorie è una favola impossibile. Di fronte a quella diversità irriducibile le mie categorie annichiliscono, ed è lì che io incontro il mio destino: quello che faccio di fronte alla diversità mi qualifica, non ciò che sono, né la fantasiosa appartenenza ad un qualche gruppo sociale. Di fronte al mondo non sono umano, non sono un mostro, non sono buono né cattivo, non sono concetti: sono il Singolo che si scontra con l’imponderabile, che si misura con lo smisurato, che diventa ciò che è sulla base del proprio agire. 

Ecco la vera condanna alla libertà: rendersi conto che non esistono le istruzioni per la vita, che l’etica è insufficiente per rendere conto delle nostre nefandezze o dei nostri prodigi. Dobbiamo renderci conto che “umanità” e “mostruosità” sono formulette buone per quando offriamo le nostre maschere all’oratorio o in parrocchia, ma che annichiliscono nel momento in cui siamo da soli di fronte al mondo.
La vita è esattamente come l’avventura nel sottosuolo che “Undertale” ci presenta: da soli, di fronte ad un mondo di cui capiamo poco o nulla, siamo costretti a disfarci continuamente delle categorie che in passato abbiamo creduto tanto vere. Mostri e umani non sono ciò che pensavamo, e per quanto io possa essere stato considerato un santo dai miei simili, potrei essere un flagello per chi mi è diverso. E in “Undertale”, le tue azioni ti definiscono molto più di quanto le tue illusioni possano fare: un bambino, un mostro oppure un santo? Probabilmente tutti e tre, ma in modi inaspettati.
Il mondo è la sfida di fronte a cui siamo chiamati a rispondere. Il pericolo, guardando l’abisso, è accorgersi che nelle sue profondità io sia la cosa peggiore mai vista nella mia vita. 

Da quel punto, risalire verso l’umanità, qualunque cosa significhi, è la vera utopia che ci rimane. 

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Per leggere gli altri articoli del precedente numero di FiloSoFarSoGood, clicca QUI

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