Il potere del Mostro

Con questo articolo iniziamo a pubblicare i 5 pezzi extra-redazionali che, pur essendo bellissimi, non sono rientrati nella rivista di settembre 2019 dedicata al tema del Mostro (il pdf della rivista è scaricabile da QUI

Foucault e il Trono di Spade
di Davide Airoldi

copertina“Vorrei essere il mostro che voi pensiate io sia, vorrei avere abbastanza veleno per ciascuno di voi”. È così che Tyrion Lannister, il nano de “Il Trono di Spade”, durante un discorso infuocato, sfoga la sua rabbia per essere stato accusato di aver ucciso il re Joffrey, da cui era stato umiliato a più riprese (persino durante il suo matrimonio con Sansa Stark) e a cui lui aveva passato la coppa di vino avvelenato che ne aveva decretato la morte. “No, di quello sono innocente. Ma sono colpevole di un crimine molto più mostruoso: sono colpevole di essere un nano”. Con questa risposta data al padre, che chiede se sia stato lui ad avvelenare il re, Tyrion fa comprendere cosa voglia dire realmente essere considerato un mostro. Lui che, nascendo, ha causato la morte della madre, attirando su sé l’odio di tutta la famiglia e diventando il capro espiatorio per ogni situazione. “Il mostro è sempre qualcun altro”, verrebbe da dire, parafrasando l’“Elogio dell’idiozia” di Riccardo Dal Ferro. Ed è proprio così: difficilmente ci rendiamo conto che, in realtà, il mostro è in noi, come ci dice Freud, o che il mostro è accanto a noi, come ci dicono, tra gli altri, tanti scrittori e scrittrici di noir. Il mostro, che non è altri che uno dei tanti nemici costruiti dall’immaginario collettivo, deve essere sempre identificabile e facilmente riconoscibile: proprio come Tyrion, che, in quanto nano, non ha la possibilità di celare la sua natura esteriore; molto meno, invece, grazie alla sua bellezza, appare mostruosa, nell’animo questa volta, sua sorella Cersei Lannister, che finirà poi, però, per rivelare la sua vera natura. L’aspetto fisico, le apparenze, quindi, contano eccome, d’altronde è anche quello che ci insegna la politica di oggi: chi non può occultare il proprio aspetto, si pensi al migrante dalla pelle nera, finisce per essere additato come un “mostro”, un reietto da emarginare e contro cui veicolare l’odio dei più. Il mostro, quindi, viene etichettato, idealizzato e stigmatizzato; dopo che ciò è avvenuto, il mostro viene escluso dal consorzio sociale perché non rispetta quella morale borghese che detiene il potere, come ci mostra chiaramente Michel Foucault soprattutto nella sua “Storia della follia in età classica” e in buona parte della sua produzione: coloro che vengono additati come “alienati”, per un motivo o per un altro, vengono internati in luoghi a parte, lontano dalla società.

Si genera così uno stereotipo impossibile da abbattere: ad esempio, canonicamente, la bruttezza è una caratteristica accostata alla figura del mostro che gli dovrebbe anche impedire, secondo l’ottica più comune, di comprendere e provare l’amore. Il legame del mostro con l’amore è particolarmente interessante: in un certo senso l’amore corrode l’intelletto e, quindi, va limitato (Tyrion spende una buona parte del suo tempo nei bordelli, a contatto con il sesso e non con l’amore). L’esempio più lampante, a proposito di ciò, è probabilmente la figura del protagonista ne “Il nano”, romanzo di Pär Lagerkvist: consacrato dall’autore in quanto mostro e capace di attuare soltanto la logica del potere, il nano attua una aberrazione della corporeità, ripudiando tutto ciò che può avvicinarsi ad essa e, quindi, anche l’amore. Potremmo quindi giungere alla conclusione, se seguissimo tale canone, che l’amore e la mostruosità, la bellezza e la bruttezza, la sensibilità e la logica, siano cose tra loro inconciliabili. Tante storie, naturalmente, ci dicono il contrario: basti pensare a “La bella e la bestia”, famosa fiaba europea diventata famosa in primis grazie alla Disney, oppure, per rimanere sempre nel mondo disneyano, a “Lilo e Stitch”; entrambi questi cartoni vogliono mostrare come, in realtà, sia possibile superare l’aspetto esteriore e che, dietro a quello che culturalmente viene definito “brutto”, “mostro” o “alieno”, tutti termini che indicano un qualcosa ritenuto diverso da noi, può esserci, in realtà, una scoperta di bellezza, che colpisce soprattutto in quanto inaspettata. Anche lo stesso Tyrion, alla fine dei conti, ci dice una cosa simile perché effettivamente riesce a provare amore per Shae, la prostituta che, a sua volta etichettata dalla società come “mostro” da emarginare, questa volta per il ruolo che svolge all’interno di essa, si innamora di lui. Il loro amore, però, dovrà arrendersi proprio di fronte a quella logica del potere che imporrà a Tyrion il matrimonio d’interesse con Sansa Stark. Il mostro, inoltre, può essere consapevole o meno di essere tale e, nel primo caso, può decidere se cedere a quella ghettizzazione (Foucault avrebbe detto “internamento”) che gli viene imposta dalla società, trovando così la pace, oppure ribellarsi a questa repressione: il nano del romanzo di Lagerkvist non è assolutamente consapevole di essere un mostro, anzi, tutto il romanzo gioca proprio su questo: lo sguardo ottuso e perverso del nano, che, incapace di rendersi realmente conto di come venga giudicato dagli altri (la frase che più efficacemente conferma ciò è: “Nessuno è grande di fronte al proprio nano”), interpreta male ciò che accade intorno a lui e riversa superbamente il suo odio verso tutto e tutti, accettando inconsciamente lo stato delle cose. Tyrion Lannister, invece, come abbiamo visto, comprende benissimo che “la maldicenza insiste, batte la lingua sul tamburo, fino a dire che un nano è una carogna di sicuro” (per dirla con De André) e cerca di ribellarsi in tutti modi, riuscendo alla fine ad inserirsi in un contesto altro, lontano dalle sue terre (dove, tra l’altro, era stato, appunto, chiuso in prigione). L’integrazione è possibile e necessaria, non sempre però è attuabile negli spazi in cui ci si trova, anzi, nella maggior parte dei casi bisogna spostarsi, nella speranza di trovare, altrove, un ruolo più consono alle aspettative. Se ciò non accade, cioè, se quelli che sono considerati “mostri” continuano ad essere emarginati e isolati, l’unica arma che questi ultimi potranno utilizzare per difendersi sarà la stessa, e quindi cercheranno di ottenere quel potere tanto agognato, riproponendo lo stesso identico processo, solo, questa volta, con il coltello dalla parte del manico, come scrive De André nel brano “Un giudice”:

“Giudice finalmente
Arbitro in terra del bene e del male

E allora la mia statura
Non dispensò più buonumore
A chi alla sbarra in piedi
Mi diceva “vostro onore”
E di affidarli al boia
Fu un piacere del tutto mio
Prima di genuflettermi
Nell’ora dell’addio
Non conoscendo affatto
La statura di Dio”

***

Davide Airoldi è nato a Roma il 19/05/1998, diplomato al Liceo Classico di Tivoli, laureando in Lettere Moderne all’Università “La sapienza” di Roma. Ha scoperto da circa un anno il mondo della cultura sul web e ne è rimasto affascinato.

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