Con questo articolo iniziamo a pubblicare i 5 pezzi extra-redazionali che, pur essendo bellissimi, non sono rientrati nella rivista di settembre 2019 dedicata al tema del Mostro (il pdf della rivista è scaricabile da QUI)
Batman (anti)eroe del sistema
di Angelo Andriano
Ogni mostro ha nei suoi occhi il riflesso dell’uomo che lo guarda.
Ma se un giorno scoprissimo che i mostri, quelli veri, non hanno affatto occhi? Se un giorno scoprissimo che i mostri non restituiscono il nostro riflesso ma ci fanno sprofondare nell’abisso? Saremmo perduti. E il bello è che è già successo.
La vera mostruosità è tale perché non siamo pronti ad essa, perché è più di quanto avevamo previsto, perché va oltre il paradigma costituito. Il mostro è tutto ciò che si impone ed esige di essere considerato, che per il solo fatto di esistere impone di ristrutturare l’intero edificio del sapere. E non soltanto il contenuto della conoscenza, ma la sua stessa struttura, i modelli argomentativi con cui ci relazioniamo al mondo. Il mostro è sempre dietro l’angolo, sempre “sotto il letto”, come nella migliore tradizione horror, perché siamo sempre impreparati per il mondo: il fatto stesso di avere una cultura, un linguaggio, un immaginario e delle storie, rende inevitabile la presenza dell’imprevisto, del cortocircuito del sistema. Il sistema della nostra vita è sempre esposto alla “crisi dell’eccesso”: se abbiamo un corpus di conoscenze, esso è per definizione destinato a essere infranto, a cadere sotto il peso della novità, della rivoluzione, delle mostruosità che esso produrrà nel momento in cui si scontrerà con qualcosa di totalmente imprevisto e insensato dalla prospettiva interna del sistema stesso. È su questo concetto che si fonda la figura di uno dei super(anti)eroi più amati della cultura pop: Batman. Il vigilante di Gotham è il simbolo per eccellenza della rivoluzione, dell’infrazione, della crisi del sistema, come se fosse un virus creato dal sistema stesso per rifondare sé stesso su nuove basi. Batman è una figura mostruosa perché è diverso da chiunque a Gotham, perché non dà punti di riferimento per essere compreso e razionalizzato. Un po’ come lo stesso Joker, che non a caso ribadisce più volte di esserne la controparte complementare. In uno dei gesti più rappresentativi di questa mostruosità incomprensibile, nel film “The Dark Knight”, Joker dà fuoco a una montagna di soldi (sì, letteralmente!). La società non sarà mai pronta per Joker. E non sarà mai pronta per Batman. Nel territorio selvaggio fuori dal sistema, che tu sia buono o malvagio, folle o sano, agli occhi degli altri sei solo un mostro, un incomprensibile errore.
Ecco perché il mostro viene dall’esterno, dallo scarto che ogni conoscenza non può colmare nei confronti della realtà che cerca di spiegare ma che rimane sfuggente e oscura nei territori che proprio la conoscenza ha aperto e reso esplorabili. In questo senso, la conoscenza ha un carattere paradossale: più ci spingiamo in là nelle rotte del sapere, più ci rendiamo conto che le rotte sono inutili. Più conoscenza significa solo più consapevolezza dell’ignoranza. Significa estendere la consapevolezza del nostro limite. Non possiamo fare altro che spostare più in là il confine senza mai superarlo. È un’illusione bella e buona quella secondo cui noi “superiamo i nostri limiti”: in realtà tutto ciò che possiamo fare è sprofondare sempre più al loro interno, procedere con essi e non oltre essi. Man mano che ci avviciniamo alla cima, scopriamo che essa si allontana, e che quindi, alla fine, non ci sarà mai il punto in cui scolliniamo per vedere dinanzi a noi un panorama aperto. Continuiamo in salita per sempre. Allargando solo la possibilità del limite e la sua ampiezza. E questo ci assicura la presenza dei mostri. Essi sono le creature che vivono irrimediabilmente al di là dei bordi della mappa, laddove noi non potremo mai arrivare, ma che si insinuano nella campana di vetro entro cui siamo confinati, per ricordarci che il nostro mondo non è mai tutto il mondo. Ecco perché il mostro è sempre l’altro.
E l’altro può essere di volta in volta la mia ragazza, mio padre, una catastrofe naturale, un tramonto spettacolare e io stesso, per me stesso, e Batman e Joker. L’altro sono io. Sono io quando mi illudo di avere esaurito il mio campo di possibilità, di aver misurato tutta l’orbita della mia anima. Perché proprio allora si rompe dentro di me lo squarcio attraverso il quale può passare la luce della rivoluzione. Io stesso scopro i pezzi che costruisco mentre vivo, o che mi costruiscono mentre sono vissuto da loro, ignaro di chi sono, sepolto sotto una coltre di possibilità inaccessibili. Io sono il primo degli altri. Il primo dei mostri. Perché io non esisto. Io sono il risultato di tutte le storie che mi racconto. Io sono un “centro di gravità narrativa”, come lo chiama Daniel Dennett nel fondamentale testo “Coscienza. Che cos’è”, e la mia identità esiste solo nella misura in cui essa è una storia, una narrazione condivisa nelle menti degli uomini. Ecco perché Io non esisto. Almeno non nel modo in cui esiste un albero o un sasso o un fiume. Io sono un’astrazione di altissimo livello, che sussiste solo grazie alla possibilità immaginifica del linguaggio, che è l’astrazione per eccellenza. E ogni volta che io racconto una storia, è molto più lei che racconta me, che io lei. Un’impresa, un’opera, un’attività, ha molto più potere su di me rispetto a quanto io potrò mai averne su di essa. Ecco perché Batman finisce per prendere il posto di Bruce Wayne. Perché io sono qualcosa ancora tutto da costruire. E questo scarto è ciò che garantisce, esattamente come per il mondo, il terrore del mostro che viene dall’esterno. È ciò che assicura che io stesso, per me stesso, sarò di volta in volta estraneo e mostro, sarò per me stesso il primo degli estranei e il più spaventoso dei mostri, perché non ho il controllo su ciò che divento. La maggior parte delle volte, sono io il primo che deve conoscersi, che deve decifrare le proprie scelte e i propri desideri e le proprie paure. Questa “mostruosità”, intesa come “altro estraneo” che non avevamo previsto, fa parte della struttura stessa dell’Io e del Mondo: nasce dall’intrinseca inesauribilità dei sistemi narrativi e linguistici.
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Angelo Andriano è nato a Bari l’8 maggio 2000. Studia filosofia e scrive da quando ha capito che era l’unico modo per non rimanere a bocca aperta di fronte al mondo. Da quando ha letto Tolkien.